Nel corso dei decenni più e più volte i nostri antenati sono stati chiamati alle urne per esprimere il loro voto in occasione di un’elezione o di un referendum. La prima grande occasione in cui gli italiani furono chiamati ad esprimere la loro opinione furono i plebisciti risorgimentali del 1860. Si tratta delle prime votazioni a suffragio universale maschile (le donne voteranno solo nel 1946): erano chiamati alle urne tutti i cittadini maschi dai 21 anni in su, al di là della loro condizione economica e sociale.
Dopo l’annessione al Regno di Sardegna degli stati dell’Italia centrale (primavera 1860), nel mese di ottobre furono chiamati ad esprimersi i cittadini delle province meridionali e della Sicilia, con un Sì o un No al seguente quesito:
«Il Popolo vuole l’Italia una e indivisibile con Vittorio Emanuele Re costituzionale, e suoi legittimi discendenti?»
Certo parlare di elezioni libere e democratiche è alquanto improprio. Tali erano infatti le modalità di voto:
“Si troveranno nei luoghi destinati alla votazione su di un apposito banco tre urne, una vuota nel mezzo e due laterali, in una delle quali saranno preparati i bollettini col SI, e nell’altra quelli del NO, perchè ciascun votante possa prendere quello che gli aggrada , e lo deponga nell’urna vuota.”
Decreto di indizione del Plebiscito nelle province meridionali, 8 ottobre 1860, art. 4
Quindi l’elettore si recava al seggio e, davanti a tutti, sceglieva la scheda con l’espressione del proprio voto. Il plebiscito delle province meridionali si risolsero con un trionfo scontato del Sì, che ottenne il 99,21% di preferenze.
Malgrado tutto queste votazioni furono un’occasione di grande partecipazione popolare. Racconta lo storico Vito Antonio Melchiorre che a Bari la corporazione dei marinai raggiunse il seggio preceduta da un grosso Sì in legno.
Unica nota “stonata” fu quella di Vito Albergo, un contadino barese detto Cacòne, che coraggiosamente mise nell’urna la scheda del No. La mattina dopo per uscire di casa dovette calarsi dalla finestra, poichè nella notte la porta d’ingresso della sua abitazione fu murata. Da allora e per il resto della sua vita fu chiamato Cudde du No (quello del no). Chissà, magari il povero Vito lo aveva fatto apposta in modo tale da poter cambiare il suo scomodo soprannome! (da Storie baresi, Levante Editori, p. 162)
Racconta Michele Viterbo nel volume Gente del sud. Il Sud e l’Unità (Laterza 1966): mentre era in corso la votazione, in chiesa [di san Ferdinando] entrò un certo Vito Albergo, un proprietario coltivatore, abitante nella via alle spalle dell’Intendenza, da tutti soprannominato Cacone. Egli andò risoluto verso il tavolo ov’erano le urne ed in gergo domandò a gran voce, tra lo stupore generale: Ov’è l’urna per i No? Non fu possibile non indicargli l’urna e subito egli, fattosi riconoscere come elettore, depose alla presenza di tutti il suo voto negativo. Poi per tre volte gridò: No! No! No! Fischi, schiamazzi, sinulti accompagnarono questo gesto, tanto più che l’agnome dell’Albergo si prestava alla beffa. E da quel giorno egli perdette la pace, perchè anche sotto la sua piccola casa lo insultavano e lo deridevano, di giorno e di notte. Il vecchio agnome fu sostituito dall’altro, più espressivo: “cudde du no”. E per un intero secolo i suoi discendenti sono stati chiamati “quelli del no”.
I registri elettorali e gli altri documenti relativi al Plebiscito del 1860 sono conservati negli archivi storici dei comuni o presso gli archivi di Stato nelle varie province. Si tratta di una fonte preziosa ed originale per ricostruire la vita dei nostri avi antenati.
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Fonti:
– Archivio di Stato di Bari, Fondo Comune di Bari, serie I, busta 3, fascicoli 4-6
– V. A. Melchiorre, Storie baresi, Levante editore, p. 182
– M. Viterno, Gente del Sud. Il sud e l’unità, Laterza 1966
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